EPATITE C tra storia, diritto e ricerca scientifica: il Nobel 2020 torna a parlarne

Nel 2017 uno studio dell’Eurostat collocava l’Italia al primo posto tra gli Stati membri dell’Unione Europea per tasso di mortalità per epatiti virali, con 40 morti per epatite virale per milione di abitanti (Eurostat, 2018). Un successivo studio italiano (Fedeli et al., 2017) condotto mediante l’analisi dei dati provenienti dal Registro nazionale delle cause di morte, ha evidenziato che nell’1,6% dei decessi avvenuti in persone di età uguale o superiore ai 20 anni, è presente l’infezione da HCV, ossia il virus che causa l’epatite C.

L’epatite C è una malattia virale che colpisce prevalentemente il fegato. Essa può manifestarsi sotto forma di epatite acuta, ma nella maggior parte dei casi l’infezione è silente: ciò significa che può passare inosservata ed il virus può così persistere nel fegato, continuando a danneggiarlo gravemente fino a rendere necessario, nei casi più estremi, il trapianto d’organo. Oltre ad evolvere in una patologia di lunga durata, l’epatite C dopo molti anni può condurre alla cirrosi; essendo inoltre un’infezione cronica le persone positive sono maggiormente predisposte a diabete, insufficienza renale e malattie cardiovascolari.

Il virus dell’epatite C viene trasmesso principalmente mediante contatto diretto con sangue infetto. Come noto, dagli anni Settanta agli anni Novanta del secolo scorso l’Italia è stata teatro della drammatica vicenda nota come “scandalo del sangue infetto”: in quegli anni furono infatti somministrate ingenti quantità di sangue e plasma raccolti da individui ad alto rischio infettivo e non testati per la presenza dei virus delle epatiti virali (HBV e HCV) e dell’HIV. Ciò ha comportato il contagio di moltissimi pazienti, sia tra i trasfusi occasionali (persone sottoposte ad interventi chirurgici o affetti da emorragie), che tra i pazienti talassemici ed emofilici, costretti dalle proprie patologie ad effettuare periodiche trasfusioni di sangue intero o a sottoporsi a somministrazioni di emoderivati (anch’essi infetti in quanto allora prodotti da plasma non controllato).

Da questa grave vicenda ha avuto origine un grande contezioso, di cui il nostro Studio si è occupato negli ultimi vent’anni e continua ad occuparsi sul piano civilistico ed amministrativo, davanti a Tribunali e Corti italiane ed anche innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Invero, sono migliaia le cause di risarcimento danni intraprese da persone contagiate dal sangue infetto o dei loro congiunti, in caso di decesso del familiare contagiato, contro il Ministero della Salute in ragione delle carenze normative e della mancanza di controlli e vigilanza sulla produzione, commercializzazione e distribuzione del sangue e suoi derivati. Inoltre, dall’entrata in vigore della legge n. 210/92 le vittime di sangue infetto hanno potuto agire in sede amministrativa o di fronte al giudice del lavoro per ottenere un indennizzo consistente in un assegno bimestrale di importo variabile a seconda della gravità della patologia contratta (mediamente circa 800 euro al mese) e in un importo una tantum in caso di decesso (di circa 75000 euro).

Dagli anni ’90 le trasfusioni di sangue e le somministrazioni di emoderivati sono da ritenersi sicuri, in quanto la normativa sanitaria si è adeguata alle effettive conoscenze tecnico-scientifiche in materia di trasmissione di infezioni tramite trasfusioni. Invero, se oggi la diagnosi di epatite C è molto semplice, bastando un esame del sangue, non dobbiamo dimenticare che sino al 1989 il virus non era stato identificato. L’epatite C veniva chiamata epatite non A non B in quanto il soggetto che manifestava i sintomi tipici dell’epatite non risultava tuttavia positivo ai test dell’epatite A o B all’epoca conosciuti.

Da qualche anno, grazie al progresso scientifico è stata scoperta una nuova terapia in grado di eliminare il virus dell’epatite C in altissima percentuale dei casi.

Accogliamo quindi con grande favore la notizia del conferimento del prestigioso premio Nobel 2020 per la medicina ai tre virologi Michael Houghton dell’università di Alberta, in Canada; Harvey J. Alter dell’Istituto di sanità del Maryland; e Charles M.Rice, della Rockefeller University di New York. I tre scienziati premiati hanno tutti svolto un ruolo fondamentale nell’identificazione ed isolazione del virus: ad Harvey J. Alter va il merito di aver isolato dal sangue dei pazienti l’agente infettivo, a Michael Houghton di mettere a punto un test capace di individuare il genoma del virus e a Charles M. Rice di aver dimostrato che il virus in questione è l’agente capace di causare cirrosi e tumore.

Ci auguriamo la ricerca scientifica possa continuare ad ottimizzare l’efficacia delle cure nonché a migliorare gli strumenti di diagnosi precoce, consentendo così la definitività eradicazione della malattia.

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