Due nuove vittorie alla Corte di Strasburgo: quando i tempi della giustizia ledono il diritto alla vita

“Justice delayed is Justice denied”: una Giustizia differita o lenta equivale ad una Giustizia negata, soprattutto quando ad essere in gioco è il diritto alla vita dei nostri assistiti.

Da decenni seguiamo le vicende delle molte persone che, dopo essersi sottoposti a trasfusioni di sangue o a somministrazioni di emoderivati in Italia, a causa delle malattie di cui erano affetti (emofilia, talassemia) o per interventi chirurgici occasionali, hanno contratto patologie infettive (HIV, epatite B ed epatite C) arrecanti gravi danni alla salute ed in alcuni casi la morte.

“Da decenni” proprio perché tale è il tempo che molte delle vittime del cd. scandalo del sangue infetto hanno dovuto attendere per vedere concretamente riconosciuto il proprio diritto risarcitorio, sebbene sin dal 2003 lo Stato italiano abbia messo in atto una serie di procedure transattive nel frustrato intento di garantire la pronta liquidazione delle somme dovute ai beneficiari. 

Lunghissimi lassi di tempo in cui le condizioni di salute di molti assistiti si sono gravemente deteriorate, al punto che in molti casi la battaglia davanti ai tribunali è dovuta tragicamente procedere attraverso i loro eredi. Un’ingiustizia nell’ingiustizia che abbiamo portato avanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Comunichiamo con grande soddisfazione che la Corte EDU, sulla scorta delle sentenze G.N. e altri c. Italia del 2009 e D.A. e altri c. Italia del 2016, ha nuovamente accolto le nostre istanze ad esito di due procedimenti presentati dal nostro Studio (ricorsi n. n. 8314/15 C.A. c. Italia e n. 56541/16 G.V. c. Italia), riconoscendo lo Stato italiano responsabile della violazione sul piano procedurale del “diritto alla vita” dei ricorrenti, protetto dall’art. 2 della Convenzione. Con tali sentenze la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare ai nostri assisti una consistente somma a titolo di equa compensazione in ragione dell’irragionevole lunghezza del procedimento finalizzato a risarcire le parti del danno patito per la perdita del loro congiunto causata da trasfusioni di sangue infetto. 

I giudici di Strasburgo hanno ribadito che la durata delle procedure risarcitorie nazionali è stata eccessiva e che le autorità italiane, di fronte a un motivo di ricorso difendibile relativo all’articolo 2 della Convenzione, non hanno offerto una risposta adeguata e rapida conforme agli obblighi processuali derivanti per lo Stato da tale disposizione.

Secondo l’interpretazione consolidata di tale articolo, l’obbligo positivo dello Stato di proteggere la vita dei propri consociati non è da intendersi solo in senso materiale, bensì anche sotto il profilo procedurale: lo Stato deve cioè garantire ai cittadini un sistema giudiziario efficiente, che permetta di individuare in tempi ragionevoli le cause delle violazioni addotte, obbligando i responsabili a rispondere dei loro atti e offrendo giusta riparazione alle vittime. 

Continueremo a batterci fermamente per il rispetto di tale diritto, perché Giustizia e Vita battano all’unisono. 

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