TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE E DEL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE (CONSENSO INFORMATO) DEL PAZIENTE (CASS. N. 1823 DEL 2021).

Occupandoci da anni di casi di responsabilità medica, affrontiamo abitualmente le problematiche che possono insorgere quando un paziente ritiene di aver subito un’ingiustizia ad opera di un ospedale o comunque di un medico. In questi casi, di c.d. malpractice medica, possono venire in rilievo due distinte tipologie di diritti del paziente, entrambe da salvaguardare e tutelare: il diritto alla salute strettamente inteso ed il diritto all’autodeterminazione.

Come sottolineato da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n. 18283 del 2021), si tratta di due diritti autonomi e distinti che non devono per forza coesistere e che, laddove lesi, danno luogo, ciascuno, ad uno specifico risarcimento del danno.  

Nel primo caso (diritto alla salute) viene in rilievo il diritto del paziente ad un corretto trattamento terapeutico, eseguito secondo i protocolli e le linee guida previste dalla normativa e dalla scienza medica del momento in cui viene attuato. 

Nel secondo caso (diritto all’autodeterminazione) viene in rilievo il diritto del paziente ad essere compiutamente informato dai sanitari, sotto tutti i profili, in merito al trattamento cui deve sottoporsi. L’informazione deve comprendere una completa elencazione di tutti i rischi e benefici, anche con riguardo agli effetti collaterali (sia fisici che psicologici) del trattamento, al fine di consentire al paziente di compiere una scelta consapevole in merito all’effettuazione o meno della terapia o dell’intervento e garantire quindi l’acquisizione di un suo valido consenso. E’ proprio la centralità del ruolo dell’informazione che ha permesso di utilizzare l’espressione “consenso informato” per identificare l’assenso che viene dato dal paziente alla sua sottoposizione ad un trattamento medico. Non è quindi sufficiente che il medico acquisisca un consenso, essendo invece necessario che venga acquisito un consenso preceduto da una adeguata e valida informazione.  Infatti, come ricorda la Cassazione nella pronuncia sopra richiamata, un intervento medico eseguito in assenza di un consenso informato del paziente, configura sicuramente un atto illecito, anche se effettuato nell’interesse del malato. 

Sotto il profilo dell’informazione, la Suprema Corte sancisce molto chiaramente che questa debba avvenire da parte dei medici mediante espressioni che siano adatte al livello culturale del paziente interlocutore, attraverso un linguaggio che tenga conto del particolare stato soggettivo in cui si trova il paziente e del grado di conoscenze di cui può verosimilmente disporre. 

Inoltre, il consenso non può mai essere presunto o tacito, ma deve risultare sempre espressamente fornito. La Cassazione ricorda che la relativa prova incombe sulla struttura o sul medico e si dovrà ravvisare una loro responsabilità non solo in caso di totale mancanza di prova circa l’acquisizione del consenso, ma anche nel caso in cui risulti un’acquisizione del medesimo solo apparente, in quanto effettuata con modalità improprie o non adeguate ossia, in altre parole, in assenza di un’adeguata informazione.

Nel caso di specie, la Cassazione, dopo due sentenze, del Tribunale e della Corte d’Appello, che davano torto al paziente, ha accolto il ricorso di un uomo che aveva chiesto i danni all’oculista e alla struttura sanitaria cui si era rivolto per curare un’uveite. I sanitari, oltre ad avergli somministrato ciclosporina al di fuori del protocollo medico ed in assenza di monitoraggio prima e dopo il trattamento, causandogli un danno renale, sia pure transitorio (danno alla salute), non lo avevano preventivamente informato circa la possibile manifestazione del danno renale, privandolo così della possibilità di scegliere consapevolmente se sottoporsi o meno al trattamento (danno da lesione del diritto all’autodeterminazione).

La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello, ritenendo la motivazione assolutamente illogica, contradditoria, giuridicamente erronea e pertanto inesistente, oltre che irrispettosa dei principi sopra formulati. 

Infatti, ritiene la Cassazione che, con riferimento al danno alla salute, la Corte d’Appello, pur avendo accertato la sussistenza del danno renale, quale effetto collaterale transitorio della terapia somministrata dai medici, non ha poi proceduto con il relativo risarcimento del danno.

Con riferimento al danno da violazione dell’autonomo e diverso diritto al consenso informato, la Cassazione ritiene che la Corte d’Appello, da un lato, non ha in alcun modo verificato se i sanitari avessero effettivamente fornito la prova dell’acquisizione del consenso, dall’altro non ha considerato che la prova del danno da violazione del diritto all’autodeterminazione da parte del paziente può essere fornita anche mediante presunzioni. Inoltre, sancisce la Cassazione che, poiché il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione è un danno di natura non patrimoniale (il cui ristoro, diversamente dal danno patrimoniale, non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto sempre la valutazione equitativa), il Giudice deve sempre accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato dal paziente e provvedere al relativo integrale ristoro. In altre parole, quando risulti dimostrata l’esistenza di un danno e vi sia una difficoltà od impossibilità di prova del suo preciso ammontare, il Giudice deve, anche d’ufficio ed indipendentemente dalla domanda della parte, utilizzare il criterio della liquidazione equitativa del danno (ex art. 1226 c.c.) e procedere con la condanna al risarcimento.

In conclusione, un paziente può risultare vittima di un caso di malasanità non solo nell’ipotesi in cui il trattamento sanitario subito sia stato eseguito erroneamente e gli abbia causato un danno alla salute strettamente inteso, ma anche nel caso in cui sia stato sottoposto ad un trattamento sanitario senza aver ricevuto preventivamente un’informazione completa ed esaustiva di tutti gli aspetti di tale trattamento, trovandosi poi a dover fare i conti con esiti o effetti collaterali di cui non è stato messo a conoscenza. 

In entrambi i casi, vagliato preventivamente ogni aspetto con l’ausilio di un professionista esperto nella materia, il paziente che si ritenga leso nel suo diritto alla salute o nel suo diritto all’autodeterminazione potrà promuovere un’azione risarcitoria nei confronti del medico o della struttura sanitaria.

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