Qualità dell’aria ed epidemia: le relazioni pericolose del 2020

Passato il 2008 e assorbiti in qualche modo gli effetti della recessione economica, mai avremmo immaginato che una nuova fase di crisi, intesa nel suo senso letterale di improvvisa modificazione nella vita di un individuo o di una collettività, potesse tornare a ripercuotersi nella nostra quotidianità in modo ancor più tangibile e pervasivo di allora. 

Eppure, l’attuale emergenza sanitaria impone restrizioni alle libertà personali del tutto eccezionali nel nostro stato di diritto. La rivoluzione dell’isolamento ci colpisce in più dimensioni: da una parte il mondo della casa, della famiglia, degli affetti, è chiamato a dilatarsi per accogliere gli spazi del lavoro, dell’educazione scolastica e anche del tempo libero, sottoponendo a grande pressione le persone che questi spazi devono condividere. Dall’altra, il mondo al di fuori delle pareti domestiche subisce un forte rallentamento, privandosi di molti elementi quali il traffico, la folla, i rumori, che prima di oggi ci parevano parte costitutiva dei nostri spazi urbani. 

Le immagini che il web, grazie alla libertà di movimento ancora garantita a qualche drone, ci restituisce in questi giorni parlano chiaro: l’ambiente esterno, con la significativa riduzione dell’attività umana, è cambiato. I dati satellitari raccolti dalla NASA e da altre agenzie hanno dimostrato un notevole calo delle emissioni di gas inquinanti, come il diossido di azoto (NO2) – che favorisce l’asma e altri problemi polmonari –in Europa ed in particolar modo nel Nord Italia, una delle aree più inquinate del continente. Il cielo diventa più terso, l’orizzonte si allunga, le acque della nostra belle Venezia tornano ferme, limpide e popolate.

Questa notizia, diffusa da molte testate giornalistiche, è stata accolta in modi differenti: voci più scettiche ritengono che la diminuzione dell’inquinamento sia dovuta piuttosto ai fenomeni climatici; altre sostengono trattarsi di un fenomeno di breve ed ininfluente durata, in quanto la fine dell’emergenza porterà con sé la necessità di rilanciare le attività produttive e con essa il tema ambientale finirà in fondo alla scala delle priorità economiche. Qualcun altro interpreta il dato quale effetto collaterale positivo della diffusione della pandemia o addirittura come espressione di una sorta di vendetta della natura, che mira a riconquistare i suoi spazi ed il suo equilibrio, corrotti dall’uomo.

L’impatto delle restrizioni imposte a spostamenti ed attività produttive sui livelli di inquinamento potrà verificarsi in misura più certa con il passare del tempo. Tuttavia, la questione pare ancor più interessante se esaminata con un rovesciamento di prospettiva: il livello di inquinamento dell’aria ha in qualche modo influito sulla diffusione del virus? 

Orbene, il nesso tra i due fenomeni pare assodato. Uno studio no-profit condotto dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima) insieme alle Università di Bari e di Bologna  (che si può leggere integralmente a questo link) ha dimostrato che le polveri sottili (il particolato atmosferico PM10 e PM2,5) funzionano da “carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus”. In altre parole, la grande concentrazioni di polveri sottili nell’aria fungono da “autostrada” per la circolazione del virus e permettono la diffusione rapida del contagio. 

L’area che merita una particolare riflessione è la Pianura Padana, dove nel periodo 10-29 Febbraio si registravano concentrazioni di polveri sottili superiori al limite di legge e dove si è poi registrata la concentrazione dei maggiori focolai. Lo studio ha ipotizzato che tali superamenti “possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo.”

Un altro aspetto non trascurabile della questione concerne il grado di mortalità dell’epidemia nelle aree in cui la popolazione è esposta in maniera duratura ad alti livelli di inquinamento. E’ noto infatti che l’infezione da coronavirus sia particolarmente insidiosa per chi già soffre di patologie respiratorie, cardiache o di deficit al sistema immunitario. Ancora una volta, tali patologie sembrano più diffuse tra gli abitanti delle aree geografiche più inquinate. Pertanto, migliorare la qualità dell’aria significherebbe anche migliorare la resistenza al virus da parte della popolazione, specialmente quella più vulnerabile.

Alla luce di tali osservazioni, la conclusione non può che essere univoca: per riappropriarci della nostra libertà di movimento, efficaci misure restrittive di contenimento dovranno essere imposte ai livelli di inquinamento. La normativa in materia, ed in particolare la direttiva europea 2008/50/CE e, a livello nazionale, il decreto legislativo che la recepisce (155/2010) impongono dei precisi valori limite, il superamento dei quali non può più essere tollerato. 

L’interesse e l’impegno del nostro Studio nei confronti della questione ambientale non può che risultare ancor più rafforzato dalla lettura di questi dati. Questo particolarissimo momento storico matura la nostra consapevolezza sul fatto che il mancato controllo sui livelli di inquinamento comporta incertezza sulle libertà che fino ad un mese fa ritenevamo scontate e potenziali lesioni ai nostri diritti fondamentali, quali il diritto alla salute individuale e collettiva garantito dall’art. 32 della nostra Costituzione. 

Il continuo sforamento dei valori limite di emissioni inquinanti non può più lasciarci indifferenti: è il momento di esigere un piano lungimirante, strutturale e capillare che possa rendere le nostre città davvero vivibili ed eco-sostenibili, le cui misure non si scarichino unicamente sulle spalle dei singoli cittadini. 

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