Il giudice civile è il garante dei diritti fondamentali anche qualora siano lesi da un atto legislativo

Il giudice ordinario è il giudice naturale dei diritti fondamentali, anche qualora questi si ritengano lesi da un atto legislativo dello Stato. È questa la massima affermata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la recente sentenza n. 36373 del 24 novembre 2021. Una pronuncia dalla portata per molti aspetti rivoluzionaria, secondo la quale al cittadino spetta il diritto di richiedere al giudice civile il risarcimento del danno nei confronti dello Stato anche quando i danni invocati siano conseguenza dell’emanazione di un atto di natura tipicamente politica, quale la Legge di Bilancio. 

Vediamo brevemente i fatti in causa. 

I ricorrenti sono liberi professionisti e al contempo dipendenti pubblici con qualifica di docenti di scuola secondaria superiore. Secondo la prospettazione degli attori, la Legge di Bilancio 2019 aveva introdotto un regime tributario discriminatorio e lesivo del loro diritto fondamentale di eguaglianza e pari contribuzione a parità di reddito. In particolare, i ricorrenti lamentavano che l’art. 1 co. 692 della L. n. 160/2019 aveva illegittimamente precluso loro l’accesso al regime fiscale forfettario con aliquota unica al 22% sul 76% della base imponibile. Invero la norma escludeva l’applicazione del predetto regime ai professionisti titolari che nel corso della singola annualità fiscale avevano percepito un reddito da lavoro dipendente superiore a 30.000,00 euro. 

Una disposizione ritenuta discriminatoria, avverso la quale i ricorrenti introducevano dinanzi al tribunale ordinario di Messina un procedimento sommario di cognizione contro le più alte istituzioni dello stato: la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. Con tale azione i ricorrenti chiedevano di ottenere il risarcimento del danno da illecito civile derivante da un atto ritenuto contrario ai loro diritti fondamentali, costituzionalmente e convenzionalmente garantiti. I ricorrenti invocarono infatti non solo la Costituzione, ma anche la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, la Carta delle Nazioni Unite, il Protocollo n. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo il Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici. 

Le amministrazioni pubbliche resistenti chiedevano il rigetto della domanda, sollevando un’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione. Le stesse sostenevano che i ricorrenti miravano a sindacare l’esercizio di una potestà pubblica dello Stato, contestando un atto di alta amministrazione di natura discrezionale, che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere sottratto alla giurisdizione del giudice ordinario. 

Di diverso avviso la Corte Suprema, che ha sancito il principio sopra richiamato. Secondo gli Ermellini non può escludersi il diritto di azione ogni qualvolta la pretesa risarcitoria afferisca diritti fondamentali costituzionalmente protetti, anche se la lesione sia paventata come dipendente dall’esercizio asseritamente illegittimo di una potestà pubblica o dalla predisposizione, presentazione, o mancata modifica di un atto legislativo. In questi casi, se ve ne sono i presupposti, i soggetti lesi dall’illecito colposo della pubblica amministrazione possono richiedere al giudice civile il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Una pronuncia, come detto, dalla portata rivoluzionaria, che segnala un avanzamento nel nostro ordinamento della tutela dei diritti fondamentali. 

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