Accolto il ricorso al TAR del Lazio per maggiore trasparenza sulle emissioni delle auto diesel

Il TAR del Lazio ha ordinato l’accesso parziale alle informazioni sui sistemi di controllo delle emissioni di biossidi di azoto (NOx) di un autoveicolo diesel. 

Il TAR del Lazio ha accolto il ricorso di un’importante associazione ambientalista internazionale contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e nei confronti di FCA e ha ordinato l’accesso parziale alle informazioni sui sistemi di controllo delle emissioni di biossidi di azoto (NOx) dei veicoli diesel. La richiesta di accesso alle informazioni riguarda i documenti di un autoveicolo diesel che, secondo test indipendenti, in condizioni di guida reali supera dalle 11 alle 22 volte i limiti di legge per i NOx. 

La sentenza, pubblicata il 25 marzo, stabilisce che la Direzione generale per la Motorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (oggi Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), entro sessanta giorni, deve dare accesso a:

  • scheda di omologazione CE del veicolo;
  • scheda di omologazione CE per sistemi, componenti ed entità tecniche relative al sistema di controllo delle emissioni del Veicolo;
  • informazioni sulle emissioni di anidride carbonica (CO2) del veicolo durante le prove di Emissioni Reali di Guida.

La sentenza contiene due passaggi di fondamentale importanza, soprattutto per il contesto italiano. La prima è che la legge consente “a chiunque” di fare richiesta di accesso a informazioni ambientali, “senza che questi debba dichiarare il proprio interesse”. La seconda è che, in materia di emissioni inquinanti, l’interesse pubblico prevale sulla confidenzialità delle informazioni per segretezza industriale e commerciale. L’accesso alle informazioni, quindi, è stato garantito anche se il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, su richiesta di FCA, aveva opposto un diniego completo alla richiesta di accesso, sostenendo che fosse necessario per proteggere la confidenzialità commerciale del produttore di auto. I giudici hanno ordinato di consentire l’accesso ai documenti, consentendo una limitata possibilità di oscurare porzioni specifiche per tutelare i “segreti industriali e commerciali” di FCA soltanto ove tali dati non siano “afferenti alle emissioni nell’aria di biossido di azoto”. 

Il ricorso è stato patrocinato dagli avvocati Massimo Dragone e Stefano Trevisan del nostro Studio. “È una sentenza storica perché stabilisce un principio: i cittadini hanno il diritto di conoscere quali sono le reali emissioni inquinanti dei veicoli diesel. Si pone oggi un precedente importante, non solo in Italia ma anche a livello europeo”, hanno dichiarato Dragone e Trevisan.

La richiesta di accesso alle informazioni da cui è nato il ricorso è stata fatta nel settembre 2020 alla Motorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti italiano. Richieste analoghe riguardanti altri veicoli sono state presentate alle corrispondenti autorità di omologazione in altri cinque paesi europei: Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi. Le automobili oggetto delle richieste sono modelli di veicoli diesel molto diffusi le cui emissioni reali sono risultate essere molto superiori ai limiti di legge.

Si osserva che l’Italia è il primo stato in tutta l’UE per morti premature stimate in relazione all’inquinamento da NO2 (biossido di azoto), con 14.600 (il 21,4% del totale). Lo rivela il report 2020 sulla qualità dell’aria in Europa dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA).  L’NO2 è un gas tossico, emesso in larga parte dai veicoli diesel, che causa infiammazioni delle vie respiratorie e, tra i vari effetti che ha sulla salute umana, può causare limiti allo sviluppo della capacità polmonare dei bambini.

Per quanto riguarda la mortalità da biossido di azoto (NO2), Torino e Milano occupano rispettivamente il terzo e quinto posto in Europa. Applicando le linee guida Oms sul PM2,5 a Milano potrebbero essere evitati 103 morti l’anno e a Torino 34. Lo rivela uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Utrecht, del Global Health Institute di Barcellona e del Tropical and Public Health Institute svizzero, pubblicato su The Lancet Planetary Health.

Il dieselgate è scoppiato nel settembre 2015 quando l’Agenzia statunitense per la protezione ambientale, Epa, ha scoperto che Volkswagen aveva usato un software illegale per aggirare le normative sulle emissioni di NO2. Mentre, negli Usa, lo scandalo ha portato a richiami e sanzioni, in Europa le autorità e l’industria automobilistica ne sono uscite ampiamente indenni. Si stima che sulle strade del continente vi siano ancora 50 milioni di veicoli diesel che emettono ossidi di azoto molto superiori ai limiti di legge. 6,7 milioni sono i veicoli stimati in Italia. Il problema non riguarda solo alcuni costruttori o pochi modelli, ma coinvolge tutto il settore: a oltre cinque anni dallo scandalo, i cittadini non hanno modo di sapere quanto queste auto siano davvero dannose per la loro salute. 

Nel maggio 2017, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia nell’ambito delle emissioni nocive delle automobili. La Commissione sospetta che le autorità nazionali non abbiano rispettato le regole europee per quanto riguarda l’omologazione di una serie di autoveicoli.

Le informazioni sulle emissioni dei veicoli diesel selezionati sono state ottenute dal rapporto di mercato della Driver and Vehicle Standards Agency del Regno Unito del luglio 2019 “Vehicle Market Surveillance Unit: results of the 2018 programme” per i modelli provenienti da Francia, Paesi Bassi, Germania, Spagna e Regno Unito e dai test effettuati dalla ONG tedesca Deutsche Umwelthilfe (DUH).

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