Vaccino anti-COVID e poteri del datore di lavoro: un campo di prova per la tutela del diritto alla privacy

Considerata la persistenza e aggressività del virus Covid-19, sembra ragionevole auspicarsi un’adesione massiccia alla campagna vaccinale, da ritenersi, ad oggi e secondo le Autorità Sanitarie, la più rapida via d’uscita dalla crisi pandemica.

Ciò non significa, tuttavia, che un individuo non possa legittimamente rifiutarsi di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19. Infatti, pur essendo la somministrazione del vaccino fortemente raccomandata per i motivi surricordati, al momento in cui si scrive non esiste nel nostro ordinamento alcuna legge che esplicitamente sancisca l’obbligatorietà della vaccinazione anti-Covid19. Troverà allora applicazione nella fattispecie in esame quanto stabilito dall’Art. 32 della Costituzione, a mente del quale “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Tale norma va interpretata alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale ed in particolare delle recenti sentenze nn. 5/2018 e 144/2019.

Ciò chiarito, si pone un quesito di particolare interesse per la vita di milioni di italiani, lavoratori dipendenti o assimilati: può il datore di lavoro pretendere di ottenere informazioni sullo “stato vaccinale” del lavoratore? Molti sono infatti i casi riportati alla nostra attenzione in cui un lavoratore è stato costretto a rivelare il proprio stato vaccinale al datore di lavoro. In caso di rifiuto di fornire tali informazioni, il datore di lavoro minacciava l’adozione di provvedimenti sfavorevoli, quali ad esempio la sospensione o l’allontanamento non retribuito.

La problematica è, dunque, particolarmente pressante e merita di essere esaminata alla luce del diritto alla protezione dei dati personali – diritto fondamentale dell’individuo ai sensi della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (Art. 8).

Le informazioni relative allo stato vaccinale sono, infatti, da qualificarsi pacificamente come dati “particolari” ai sensi del diritto europeo e nazionale, poiché possono rivelare lo stato di salute di una persona fisica (Art. 4 par. 1 punto 15 Regolamento EU 2016/679, c.d. “GDPR”). 

I dati particolari godono di una tutela giuridica rinforzata: ai sensi dell’Art. 9 par. 2 lett. B) del GDPR, sussiste un generale divieto per il datore di lavoro di utilizzare/trattare questi dati particolari, sempre che non ricorrano due condizioni cumulative, ovverosia che: i) tale trattamento sia stato autorizzato per legge; e che ii) siano state adottate le garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessati.  

Sulla base del predetto quadro normativo, il Garante della Privacy (v. FAQ del 17 febbraio 2021) ha escluso che il datore di lavoro possa legittimamente chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione. Il Garante inoltre ha stabilito che il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti, non potendo il consenso costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo (considerando 43 del Regolamento).

Analogamente, il Garante ha stabilito che il medico competente non può comunicare i nominativi dei dipendenti vaccinati. Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica (artt. 25, 39, comma 5, e 41, comma 4, d.lgs. n. 81/2008).

Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica forniti dal medico competente e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati (es. art. 18 comma 1, lett. c), g) e bb) d.lgs. n. 81/2008).

Rimane da capire se l’avvenuta somministrazione del vaccino anti Covid-19 può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario). Nell’attesa di un intervento del legislatore nazionale, allo stato troveranno applicazione le cd. “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 nell’ambito del Titolo X del d.lgs. n. 81/2008).

In tale quadro solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica.

L’illegittimo utilizzo dei dati personali potrebbe configurare un illecito amministrativo, sanzionato con una multa fino a 20.000,00 euro, e potrebbe altresì far sorgere il diritto al risarcimento del danno da parte del lavoratore.

Ovviamente ogni caso ha le proprie peculiarità che vanno valutate singolarmente.

Lo Studio Legale Dragone & Avvocati Associati Loffredo e Cestaro segue con particolare attenzione fattispecie che ricadono nelle ipotesi qui brevemente descritte, fornendo assistenza legale altamente specializzata.

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