ANCORA SULLE D.A.T.: CHE FARE SE LE DISPOSIZIONI DI VOLONTÀ SUL TRATTAMENTO SANITARIO NON SONO STATE ANTICIPATE?

In un nostro precedente articolo (pubblicato il 25 marzo 2020 nella rubrica “conosci i tuoi diritti” di questo sito: DAT TESTAMENTO BIOLOGICO ) abbiamo affrontato la questione delle D.A.T., le Disposizioni Anticipate di Trattamento, previste dall’art. 4 della Legge n. 219/2017.

Come già illustrato, con le D.A.T. viene consentito ad una persona di manifestare anticipatamente il proprio consenso, o il proprio rifiuto, ad essere sottoposto ad eventuali futuri trattamenti sanitari per l’ipotesi in cui in quel momento egli non sia in grado (a causa della gravità della malattia o dell’infortunio subìto) di esprimere la propria volontà.

Oggi ci occupiamo di un’altra questione: cosa succede se la persona non ha previamente espresso la propria volontà attraverso le D.A.T. e vi è necessità di sottoporla ad importanti e atti medici e terapie invasive?

Si pone in questo caso un duplice problema, per il medico e per il paziente, perché il primo non è in grado di informare adeguatamente il paziente (sulla diagnosi, sulle terapie, sulle possibili opzioni terapeutiche, sulle probabilità di successo e di insuccesso, sui possibili effetti collaterali e complicanze, etc.) e il secondo non può esprimere il proprio consenso (o il proprio dissenso), né effettuare alcuna scelta consapevole.

Ma cos’è il “consenso informato” e dove si trova la regolamentazione di tale fondamentale principio? 

Il “consenso informato” è espressione del più generale diritto di autodeterminazione del paziente garantito dalla nostra Costituzione. L’art. 32 della Costituzione, dopo aver sancito la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo, stabilisce al secondo comme che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

La successiva normativa ha precisato ulteriormente il contenuto di tale diritto, escludendo (con la Legge 833/ 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale)  espressamente che il paziente possa essere sottoposto a accertamenti e trattamenti sanitari contro la sua volontà e, più incisivamente affermando (con la Legge n. 219 del 2017 che ha introdotto le D.A.T.) il diritto di ogni persona di “conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonchè riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

Può peraltro accadere che, per ragioni di urgenza o gravità della situazione clinica dell’infortunato, questi non sia in grado di prestare, o negare, il proprio consapevole consenso alle cure e terapie.

In queste ipotesi il medico, limitatamente ai trattamenti indispensabili per salvare la vita dell’ammalato, è esonerato dall’obbligo di acquisire il suo consenso, che però successivamente egli dovrà ricevere dal paziente dopo averlo adeguatamente informato, nel caso in cui quest’ultimo dovesse riacquisire la capacità di esprimersi e autodeterminarsi.

Se invece dovesse perdurare lo stato di incapacità di intendere e volere del paziente, il medico dovrà proseguire nella cure ritenute necessarie e quindi rivolgersi al Giudice Tutelare (direttamente o, cosa che accade nella prassi più di frequente, sollecitando i parenti del paziente a farlo), chiedendo l’adozione dei provvedimenti necessari, tra cui la nomina di un amministratore di sostegno (o di tutore nei casi più gravi di incapacità) autorizzato ad affiancare il malato nelle proprie determinazioni o, nei casi più gravi, sostituirsi ad esso.

Lo stesso meccanismo si applica, ad esempio, nel caso della persona anziana che, a causa di problemi cognitivi (dovuti all’età o a qualche patologia), abbia perso la propria capacità di autodeterminarsi e sia ricoverato in ospedale o magari in RSA/casa di riposo. 

In conclusione, ogni persona maggiorenne ha diritto di autodeterminarsi per prestare (o rifiutare) personalmente il proprio consenso informato agli atti e trattamenti medici di cui dovesse aver bisogno. Per i minorenni il consenso informato agli atti sanitari va prestato dai genitori con intervento del Giudice Tutelare in ipotesi di contrasto tra gli stessi. 

Nessuno, nemmeno i familiari (moglie/marito, figli, genitori etc), può in alcun modo sostituirsi al paziente in questa decisione, nemmeno in ipotesi di incapacità del malato di manifestare la propria volontà. Essi non hanno legalmente alcun diritto o potere decisionale, fintanto che non si rivolgano al Giudice Tutelare per la nomina di amministratore di sostegno o tutore.

In tali casi, in mancanza di D.A.T. (con le quali, come visto nel precedente articolo, è possibile nominare anticipatamente una persona di fiducia che si sostituisca al paziente nelle decisioni riguardanti gli atti medici) il medico non può, in linea generale, sottoporre ai parenti del paziente la decisione riguardante le terapie e/o interventi da effettuare sul paziente, pur se naturalmente nella pratica vi sarà un confronto/dialogo con gli stessi, nè sarà tenuto a seguire le loro eventuali indicazioni (che potrebbero anche non essere univoche), essendo invece necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria (che, come sopra detto, nella maggioranza dei casi viene adita dai familiari, magari su sollevitazione dei sanitari) per la nomina di un tutore/amministratore di sostegno ad hoc

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