Amianto. Risarcimento ai familiari della donna deceduta per mesotelioma pleurico: per anni aveva lavato le tute da lavoro del marito

Non aveva mai lavorato a contatto con l’amianto, eppure una donna è morta nel 2015 a causa di un mesotelioma pleurico, una grave forma di tumore causato dall’inalazione di fibre di amianto. Il marito era stato invece esposto all’amianto per anni nel cantiere navale ove era impiegato e, almeno una volta a settimana, aveva portato a casa la tuta da lavoro affinché fosse lavata. Per lungo tempo la moglie si era prodigata nel pulire gli indumenti del coniuge, strofinandoli con cura per eliminare la polvere che li ricopriva.

Questa premura è stata la sua condanna.

Infatti, l’inalazione delle fibre di amianto presenti sulle tute da lavoro del marito ha determinato l’insorgere della grave e irreversibile patologia che ha causato la tragica morte della donna.

Il mesotelioma pleurico, come espresso nella consulenza tecnica d’ufficio effettuata in corso di causa, è “un raro tumore maligno della pleura, ed è uno dei tumori per i quali sembra accertato un rapporto di ordine etiologico, identificato con tutte le attività connesse all’estrazione e alla lavorazione dell’asbesto (termine che sta ad indicare in alternativa all’amianto numerosi silicati idrati chimicamente differenti, impiegati nelle attività industriali)”. La stessa consulenza ha evidenziato che “nella letteratura medico specialistica sono riportate segnalazioni di comparsa di mesotelioma nella popolazione generale residente in aree industriali dove veniva utilizzato amianto e anche tra i familiari di soggetti professionalmente esposti, per possibile inquinamento dell’abitazione con fibre depositate sugli abiti da lavoro”.

Sulla scorta della consulenza tecnica d’ufficio, delle deposizioni testimoniali e della documentazione in atti, il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 2147/2018, ha accolto le domande dei familiari della vittima e ha loro riconosciuto un risarcimento per i danni subiti in proprio e quali eredi.

Il Giudice ha ritenuto sussistere un nesso causale tra la patologia della moglie e l’attività lavorativa del marito secondo i criteri probabilistici sulla base di valutazioni scientifiche. In particolare nella sentenza si afferma che l’esposizione all’amianto dell’operaio ha comportato “la traslazione della suddetta esposizione delle fibre di amianto all’interno delle mura domestiche dell’abitazione” con la conseguenza che la moglie “ha subito su se stessa gli effetti dell’inquinamento provenienti dalla realtà lavorativa del marito, ammalandosi e scontando tragicamente con la propria vita la convivenza matrimoniale” con il lavoratore. Il Tribunale ha quindi dichiarato la responsabilità della società convenuta per il decesso della donna, in quanto l’azienda non è stata in grado di provare l’esistenza di cause alternative sopravvenute o preesistenti idonee a giustificare l’insorgenza del mesotelioma pleurico che, come noto, è una malattia letale (tipicamente professionale-lavorativa) causata dall’esposizione continuativa alle fibre di amianto. Peraltro, la società non ha dato nemmeno prova della “specifica adozione di mezzi di protezione personali e/o collettivi”, atta ad esonerarla da colpa.

In sostanza, secondo i criteri che regolano il nesso di causalità in ambito civile (artt. 40 e 41 c.p.), trovandoci al cospetto di una causa in concreto idonea a determinare l’evento morte e in mancanza di cause alternative, la società convenuta è stata condannata al risarcimento dei danni in favore di ciascun familiare della vittima, parte in causa.

Dott.ssa Marta Manzoni

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