Maternità surrogata: diritti, obblighi e responsabilità in Italia ed in Europa

In occasione della lezione del “Master in procreazione medicalmente assistita e scienze della riproduzione umana”, cui siamo stati invitati ad intervenire in qualità di relatori dal Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino – SDB, Clinica Ginecologica e Ostetrica di Padova, si è sviluppata un’interessante riflessione sui profili giuridici legati alla pratica della surrogazione di maternità.

Come noto, il nostro ordinamento è caratterizzato per una forte disistima nei confronti di tale pratica, tant’è che vige un divieto assoluto, penalmente sanzionato, nei confronti di chi “in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità”, come sancito dall’art. 12 della l. 40/2004. È vietata qualsiasi forma di surrogazione di maternità, anche quella gratuita.

La presenza di tale divieto ha dato origine alla prassi, intrapresa da molte coppie italiane, di ricorrere alla surrogazione di maternità all’estero, negli ordinamenti ove questa è consentita. Di conseguenza, è un dato di fatto che bambini venuti al mondo tramite surrogazione di maternità all’estero siano poi ricondotti in Italia per continuare il legame affettivo-familiare già formatosi, previo ottenimento di un suo riconoscimento giuridico.

Da un punto di vista penale, il ricorso alla surrogazione all’estero, qualora la stessa venga effettuata in uno stato in cui tale pratica non sia vietata, non è più di fatto sanzionato dall’ordinamento italiano. 

Infatti, in tali fattispecie potrebbe trovare applicazione il requisito della “doppia incriminazione”, secondo il quale il fatto posto in essere deve essere penalmente illecito sia per l’uno che per l’altro Stato. In altre parole, non può essere assoggettato alla legge penale italiana il cittadino che commette all’estero un fatto previsto come reato dalla legge italiana, ma considerato penalmente irrilevante dall’ordinamento dello Stato estero in cui si commette il fatto. Tale requisito non è unanimemente considerato applicabile dalla giurisprudenza, ma la Corte di Cassazione (Cass. pen. n. 13525/2016) ha ritenuto comunque non punibile una coppia recatasi all’estero per una surrogazione di maternità (in uno stato dove la stessa era consentita), ravvisando un errore inevitabile sull’art. 9 c.p., in quanto la coppia avrebbe agito all’estero nella convinzione che per la punibilità exart. 12, co. 6, l. n. 40/2004 sarebbe stata necessaria la previsione come reato della maternità surrogata anche nel locus commissi delicti.

In concreto, l’art. 12 co. 6 L. n. 40/2004 è stato raramente applicato, mentre più frequenti sono stati i casi di applicazione dell’art. 567, co. 2, c.p., che punisce, con la reclusione da 3 a 10 anni, chiunque, nella formazione di un atto di nascita, alteri lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità. Tale previsione è stata ritenuta applicabile nel caso in cui la donna committente denunci come proprio il figlio partorito in realtà dalla madre surrogata.

Tuttavia, la Corte di Cassazione (con due sentenze Cass. pen. n. 13525/2016 e Cass. pen. n. 48696/2016), ha escluso la sussistenza di tale reato nel caso di attestazione di genitorialità da parte della coppia davanti all’ufficiale di stato civile dello Stato estero in conformità al diritto ivi vigente. La successiva condotta con la quale i genitori chiedono la trasmissione dell’atto di nascita validamente formato all’estero in Italia per ottenerne l’attribuzione di efficacia nel nostro Paese è stata infatti ritenuta estranea alla tipicità dell’art. 567, co. 2, c.p., mancando in ogni caso il dolo richiesto dalla norma.

All’applicazione di un reato in Italia si può quindi giungere solo nel caso di inosservanza delle condizioni dettate dalla legge straniera per l’accesso e l’esecuzione della pratica di surrogazione di maternità e per la formazione dell’atto di nascita.

Potrebbe residuare una responsabilità penale ex art. 495, co. 2, n. 1, c.p. («Falsa dichiarazione o attestazione a pubblico ufficiale su qualità personali») in relazione alla richiesta all’ufficiale di stato civile del comune di residenza della trascrizione dell’atto di nascita, per renderlo efficace in Italia.

In tal senso vi è stata una sentenza del Tribunale di Milano del 2014, secondo cui la mera dichiarazione di essere genitori del bambino, senza specificare che si trattava di maternità surrogata, non fornirebbe all’ufficiale di stato civile italiano un elemento «potenzialmente valutabile ai fini del rifiuto della trascrizione, ai sensi dell’art. 18 d.P.R. 396/2000, per contrarietà all’ordine pubblico». Tale posizione è stata però stata smentita dalla Suprema Corte secondo cui il reato «presuppone una falsa dichiarazione, che non è ravvisabile se i coniugi non rivelano di essersi avvalsi della procedura di surrogazione di maternità all’interno del territorio ucraino» (Cass. pen. n. 13525/2016).

Se quindi, da un punto di vista penale, i genitori che si recano all’estero per effettuare una maternità surrogata non dovrebbero più temere un’incriminazione (purché si rechino in uno stato in cui tale pratica è consentita e rispettino le norme di tale stato), da un punto di vista civile-amministrativo, molte sono le difficoltà che i “genitori intenzionali” incontrano nel far riconoscere dalle autorità lo status genitore/figlio, soprattutto nei casi in cui non vi sia alcuna relazione biologica o genetica tra l’adulto ed il minore. 

Al fine di risolvere queste situazioni di totale incertezza giuridica, soprattutto in vista della necessità di tutelare la posizione del minore, la giurisprudenza italiana ha elaborato delle soluzioni che permettono di dare riconoscimento ex-post ai legami di fatto instauratosi. In particolare, come confermato dalle Sezioni Unite di Cassazione nella recente sentenza n. 12193/2019, al coniuge o partner del genitore (già riconosciuto) del minore nato all’estero, è data la possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari, ex art. 44 l. 183/1984.

Molto importante è anche la giurisprudenza elaborata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, seppure i giudici di Strasburgo mantengano un atteggiamento sempre molto cauto nei confronti di questa materia, eticamente sensibile e scientificamente connotata.  La Corte infatti riconosce agli Stati membri (e quindi anche all’Italia), un ampio margine di apprezzamento, ossia un’ampia discrezionalità nel disciplinare l’accesso alla surrogazione di maternità. In un recentissimo parere consultivo reso alla Corte di Cassazione francese, la Corte EDU ha ribadito che il principio cui dare preminente rilievo nel processo decisionale è l’interesse superiore del minore (best interest of the child). Di conseguenza, nell’affrontare i casi concreti, i giudici devono prediligere le soluzioni che promuovano il benessere psico-fisico del bambino, assicurandone una sua crescita sana ed equilibrata. 

E’ evidente che, allo stato, le risposte giuridiche fornite alle situazioni che si vengono di fatto a creare sono elaborate caso-per-caso. Ci si chiede pertanto se non sarebbe più opportuno affidare la disciplina di tale fenomeno, o quantomeno dei suoi effetti, ad una legislazione attenta che sappia tutelare i diritti fondamentali di tutti i soggetti coinvolti.   

Il presente articolo, come tutti gli articoli presenti sul nostro sito, fornisce indicazioni generali su temi giuridici trattati volutamente in modo sintetico e senza alcuna pretesa di esaustività ed è finalizzato esclusivamente ad una migliore conoscenza di argomenti giuridici di attualità, sulla base delle richieste che ci vengono formulate dalla nostra clientela. Il presente articolo non intende fornire e non deve essere considerato uno strumento di consulenza legale.

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