Risarcibilità del danno da perdita della vita: una decisione “indecisa”.

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Da tempo si attendeva che la Sentenza n. 15350/2015 delle Sezioni Unite della Cassazione Civile tornasse a fissare dei capisaldi in tema di riconoscimento della risarcibilità iure hereditatis del danno conseguente alla perdita della vita, dopo che la pronuncia n. 1361/2014 della Terza Sezione aveva dato uno scossone all’impianto giurisprudenziale fino ad allora consolidato.

La Terza Sezione seguendo un percorso logico-argomentativo volto a superare le rigide categorie civilistiche cristallizzatesi in materia a partire da una risalente pronuncia della Cassazione del 1925, era audacemente giunta a concludere, inter alia, che

– costituisce danno non patrimoniale altresì il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica;
– il danno da perdita della vita è altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale (o catastrofale o catastrofico) della vittima, rilevando ex se nella sua oggettività di perdita del principale bene dell’uomo costituito dalla vita, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia, e dovendo essere ristorato anche in caso di morte cd. immediata o istantanea, senza che assumano pertanto al riguardo rilievo la persistenza in vita all’esito del danno evento da cui la morte derivi nè l’intensità della sofferenza interiore patita dalla vittima in ragione della cosciente e lucida percezione dell’ineluttabile sopraggiungere della propria fine;[…]
– il ristoro del danno da perdita della vita ha funzione compensativa, e il relativo diritto (o ragione di credito) è trasmissibile iure hereditatis;
– il danno da perdita della vita è imprescindibilmente rimesso alla valutazione equitativa del giudice;

Tale impostazione, oltre a superare l’impasse creato dalle annose speculazioni sul significato dell’evento morte o sull’apprezzabilità del lasso temporale che dovrebbe intercorrere fra la lesione e la morte per rendere il danno risarcibile, aveva il pregio di armonizzarsi con la concezione del diritto alla vita propria dell’ordinamento europeo. e con il comune sentire dei nostri tempi Invero, il diritto alla vita è riconosciuto quale diritto inalienabile di ciascun individuo dagli artt. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la relativa tutela è distinta da quella prevista per il diritto alla salute.

Seppur lasciando alcune questioni da definire, il “sasso” lanciato dalla Terza Sezione (e da precedente illuminata giurisprudenza di merito) rappresentava un’ottima occasione per modellare una tutela risarcitoria al passo con la casistica e la sensibilità del nostro tempo. Ciononostante, come rilevato da alcuni insigni giuristi, le Sezioni Unite hanno preferito “nascondere la mano” e ribadire l’impostazione dell’orientamento tradizionale, senza peraltro fornire i tanto attesi e necessari chiarimenti.

La pronuncia del 2015 afferma infatti che “Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente […]. E poichè una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva […] dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass. n. 4991 del 1996).” Tale statuizione riapre quindi il dibattito sull’estensione di quello “spazio di vita” che renderebbe la perdita del bene vita meritevole di tutela civilistica, oltre che di tutela nell’interesse dell’intera collettività, senza però fornire alcuna precisa definizione.

Peraltro la preoccupazione di fondo che sottende alle argomentazioni delle SSUU pare più quella di evitare che gli eredi del defunto, attraverso il cumulo della pretesa risarcitoria avanzata iure proprio (per la perdita del rapporto parentale) con il diritto al risarcimento del danno tanatologico vantato iure hereditatis, possano conseguire un risarcimento troppo elevato, piuttosto che quella di tutelare il diritto alla vita.
Sul punto ci permettiamo due considerazioni:
riteniamo che la vita umana non abbia prezzo e quindi non vi è né può esservi un risarcimento troppo elevato a fronte della perdita di una vita ed in ogni caso ben si sarebbe potuto individuare un limite all’importo da liquidarsi mediante la prassi giurisprudenziale e la “tabellazione” del quantum risarcibile, ancorandolo a precisi parametri liquidatori;
la citata “decisione” lascia aperta la questione di fondo, sintetizzabile nel paradosso per cui, da un punto di vista meramente economico, per l’offensore “è più conveniente uccidere che ferire”, in quanto il risarcimento spettante complessivamente al danneggiato (rimasto in vita) e ai suoi congiunti è decisamente maggiore.

La sentenza ha sicuramente deluso aspettative su molteplici fronti: chi invocava il riconoscimento giuridico della perdita del bene supremo si ritrova delegittimato da speculazioni ontologiche di matrice epicurea e da argomentazioni che si preoccupano più di questioni economiche che della tutela dei diritti fondamentali; chi voleva tirare le fila di una questione che da quasi un secolo arrovella dottrina e giurisprudenza si ritrova fra le mani una matassa ancor più intricata, e chi voleva esercitare la professione legale al passo con l’evoluzione dell’impianto sovranazionale di tutela dei diritti fondamentali si ritrova a rimpiangere un’occasione perduta.

Avv. Massimo Dragone
Avv. Roberto Loffredo
Dott.ssa Stefania Carrer

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